Street Food a Palermo
Pane e panelle - By Dedda71 (Own work) [GFDL or CC BY 3.0], via Wikimedia Commons
Pane e Panelle, Crocchè o Cazzilli, Rascatura e Pane ca Meusa
A Palermo la cucina di strada ha un’origine antichissima, già 2500 anni fa nella Magna Grecia si vendevano cibi per strada e nel corso dei secoli l’offerta si è ampliata, adattandosi ai gusti dei popoli che hanno dominato questa terra: bizantini, normanni, saraceni, arabi, spagnoli, francesi.
Oggi Palermo è uno dei rari esempi di città italiana, nella quale si possono ancora gustare i piatti della vera cucina di strada tradizionale. In giro per la città le opportunità sono molte, negozietti, venditori ambulanti con il “lapino” (per la cronaca a Palermo il “lapino” è un veicolo a tre ruote tipo Ape Piaggio adattato agli usi più diversi) o bancarelle improvvisate nei mercati di Ballarò, Capo, Vucciria o Borgo Vecchio.
Ma chi sono i protagonisti dello Street Food palermitano? Dal “Panellaro” gli avventori trovano “Pani e Panelle”, un delizioso panino di sesamo di origine araba, farcito frittelle di farina di ceci con prezzemolo, ma non solo, ci sono anche le “Crocchè” e la “Raschiatura”. Le "Crocchè", che a Palermo sono chiamate “Cazzilli”, sono crocchette di patate vecchie e prezzemolo con una tipica forma ovale e allungata, fritte nell’olio delle panelle e servite nel “coppino” o in un panino di sesamo.
La “Rascatura” è un esempio di come la necessità può trasformare genialmente una materia destinata allo scarto in una specialità gastronomica: ha più o meno la forma di una crocchè, ma un colore più scuro e una superfice più irregolare. Si ottiene “raschiando” i pentoloni usati per friggere pannelle e crocchè e quindi consiste nei residui di farina di ceci, patate e prezzemolo, che vengono fritti nuovamente.
Dal “Mieusaro” si degusta a Palermo il “Pani ca Meusa”, un panino di sesamo imbottito con pezzetti di milza, polmone e “scannaruzzàtu” (trachea) di vitello, una specialità di tradizione ebraica risalente al Medioevo. Può essere servito “schiettu”, con solo uno spruzzo di limone, o "maritatu", ovvero accompagnato da ricotta o caciocavallo.
Lapino modificato a sfincione - By Fernando Miccichè - Palermo (Flickr) [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons
Stigghiola, Frittola e Quarume
Lo “Stigghiularu” arrostisce sulla brace la "Stigghiola" ai bordi delle strade, si tratta di interiora di agnello, con o senza scalogno.
Una volta cotte a regola d’arte, si mangiano subito, caldissime, tagliate a pezzettini e condite con sale e limone.
La "Frittola" è costituita da scarti di macellazione, grassetti, ossa e piccole cartilagini del vitello, che prima vengono bollite e poi rosolate nello strutto e insaporite con alloro, zafferano e pepe.Il “Frittularu” la tiene al caldo dentro un “panaru”, un cesto di vimini coperto da un panno, e la serve condita con sale, pepe e uno spuzzo di limone su un quadrotto di carta oleata (la “cartàta”), pescandone una “manciata” da una apertura nel panno.
La "Quarume" (detto anche "Caldume") è un brodo molto saporito di varie interiora di vitello con carote, sedano e pomodori e a volte patate.
Per preparare il piatto all’avventore, il “Quarumaru" estrae una piccola parte di ogni pezzo e la taglia nel tagliere servendola poi in un piatto.
A richiesta si può avere anche il brodo in una scodella.
Babbaluci, Muccuni e Purpari
I “Babbaluci”, dall’arabo “babuch”, sono lumache di terra bollite, si mangiano con sale e pepe, prezzemolo e aglio soffritto in olio d’oliva, sono il piatto tipico del "Festino" della patrona della città, Santa Rosalia, il 14 luglio.
I “Muccuni”, letteralmente “bocconi”, sono invece lumache di mare da gustare crude oppure saltate olio e limone, vengono vendute per la strada e nelle zone di mare di Palermo come Mondello, Sferracavallo o Romagnolo assieme ad altri frutti di mare (ostriche, ricci e cozze) ed ai polpi bolliti.
Il “Purparo” da una grossa pentola estrae i polpi e ne serve i tentacoli conditi con il limone su uno dei piatti di candida ceramica bianca che tiene sul bancone, su richiesta vi serve anche la “testa” del polpo pulita e tagliata a metà.
Arancine - foto G. Melfi
Sfincione, Arancina, Ravazzata, Rizzuola e Pani Cunzato
Lo “Sfinciunaru" ambulante col “lapino” modificato “a sfincione”, propone la “pizza dei palermitani”, una focaccia molto alta condita con pomodoro, origano, pangrattato, cipolle, acciughe e caciocavallo, sembra che il nome faccia riferimento alla sua morbidezza e derivi dal greco “sponghia”, che significa "spugna".
Una specialità siciliana celeberrima è l‘arancino di riso, che a Palermo preferiscono chiamare ’”Arancina”. E’ una palla di riso allo zafferano fritta e farcita classicamente con ragù e piselli (“alla carne”), con besciamella, prosciutto e formaggio (“al burro”) o con mozzarella e spinaci (“agli spinaci”).
La “Ravazzata” è una brioche al sesamo cotta al forno, farcita con ragù, piselli ed amido sciolto in acqua, ha una tipica forma tonda con un cratere al pomodoro al centro.
La “Rizzola” è la sorella della ravazzata, ma invece di essere cotta al forno è fritta, una delizia per chi non ha problemi di calorie.
Il “Pani Cunzato” è un piatto di origine contadina e consiste nel pane appena sfornato tagliato a metà e condito con pomodori, pecorino, sale, origano e olio d'oliva.Oggi ne vengono proposte altre versioni con aggiunta di filetti di acciuga, tonno sott'olio, affettati e formaggi.
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